INTRODUZIONE
Il metodo che
abbiamo seguito è la comprensione e abbiamo fatto lo sforzo di esprimere il
pensiero dell’autore senza cambiarne il significato. Forse la nostra umile
conoscenza della lingua italiana non ci ha permesso di esprimerci
correttamente. Comunque l’obiettivo è stato di presentare tutta l’opera: essa è divisa in sei libri, i quali sono
divisi al loro interno in titoli e poi in numeri. I numeri sono 624.
I protagonisti
dell’opera sono G. Crisostomo e Basilio: infatti, G. Crisostomo presenta
Basilio come un suo amico con cui condivide la vita e l’esperienza sacerdotali.
Perciò, il genere letterario può essere definito come un dialogo tra questi due
protagonisti, in cui abbiamo presentato il contenuto prima della conclusione.
IL CONTENUTO DELL’OPERA, «IL SACERDOZIO», DI GIOVANNI CRISOSTOMO
Abbiamo osservato in
precedenza che «Il sacerdozio» è diviso in sei libri. All’inizio del libro I, G.
Crisostomo esegue una sorta di autobiografia parlando della sua amicizia con
Basilio nel periodo dell’infanzia e poi ricorda i consigli di sua madre. Ciò che per lui è molto interessante è che
l’amicizia porta a vivere una vita comune e permette a quelli che hanno
concordato per una buona amicizia, di fare le stesse cose nello stesso modo. Sono
principalmente due cose da non dimenticare: in primo luogo, non bisogna
offendere Dio senza ragione, in secondo luogo non bisogna abbandonare l’amicizia
con la madre. Che meraviglia! Dio ci dà la Vita e la madre ci dà la vita a
questo mondo. La madre di G. Crisostomo insiste sul fatto che è madre colei che
rende agevole il cammino di questa vita, tramite l’educazione[1].
Si vede subito che
già dalla famiglia si impara a vivere nell’amicizia con Dio, con la propria
madre e con il mondo esteriore. Si inizia ad entrare in intimità con Dio e con
la sua creazione: sia con gli uomini, immagini di Dio, sia con le altre
creature. Il bambino impara queste cose in vista del futuro. Così, chi osserva
l’insegnamento dei genitori impara già ad essere un buon sacerdote. Da questo
pensiero possiamo sostenere quello che molto spesso si dice: «Un buon sacerdote
viene da una buona famiglia». Anche G. Crisostomo viene da
una buona famiglia, munito dall’educazione di sua madre, egli ha vissuto da
buon sacerdote. Così intuiamo che, da sacerdote, G. Crisostomo ha veramente
vissuto l’amicizia con Dio, e con la madre Chiesa. Qui possiamo comprendere il
motivo per il quale ci racconta la sua vita sacerdotale ed episcopale dopo il
paragrafo sull’amicizia e sui consigli di sua madre. Non voleva essere vescovo,
ma ha finito per accettare questo incarico per amore di Dio e della Chiesa.
Il Libro II comincia
con un dialogo tra G. Crisostomo e Basilio sul significato di un discepolo. Il
discepolo è il servo chiamato dal Signore. Si tratta di un servo che pascola le
pecore con amore e responsabilità. L’autore cita il caso del gregge che Gesù
affida a Pietro (Cf. Gv 21, 15), per suscitare in noi la coscienza di dare della
priorità al governo di questo gregge, popolo di Dio, che il nostro autore
chiama «il gregge razionale di Cristo»[2]. Pertanto ogni
pastore viene chiamato a difendere il gregge da ogni cattiveria di questo
mondo, per esempio, le opere della carne enumerate in San Paolo «prostituzione,
adulterio, fornicazione, sfrontatezza, idolatria, sortilegio, inimicizie,
contese, invidie, ira, risse, oltraggi, maldicenze, orgoglio, sedizioni» (Gal
5, 19). Chi riceve un tale incarico lo deve fare come fosse un pastore che cura
le ferite delle pecore, che porta le pecore ai corsi d’acqua, le fa riposare a
pascoli erbosi e rende sicuro il loro cammino[3]. Anche qui, il
nostro autore vuole mostrarci che ogni sacerdote è chiamato a pascolare il
gregge così come lo fa il Signore, in quanto pastore di tutti noi (Cf. Sal 22
/23).
Però, G. Crisostomo
ricorda che per curare le pecore che sono «il gregge razionale di Cristo», non bisogna usare la forza come i magistrati,
ma la persuasione, così che, chi si lascerà persuadere, troverà anche il
vantaggio delle cure. È proprio in questo modo che ogni singolo salverà la sua
anima. Dunque il pastore non deve limitare il campo con un muro di separazione,
ma deve estendere la salvezza a tutto il popolo[4].
Dopo
questa discussione, ne nasce un’altra, sulla potenza dell’amore. I personaggi,
Basilio e G. Crisostomo, sostengono che l’amore, per chi vuole essere di Cristo,
sta al di sopra di tutto. Perché esso è il grande comandamento del Signore
quando disse: «Da questo gli uomini conosceranno che siete miei discepoli, se
vi amerete gli uni gli altri» (Gv 13, 35). Per loro, l’amore si colloca al di
sopra di tutti i carismi. Esso distingue i seguaci di Cristo dagli altri
uomini. Loro ribadiscono che l’amore è la caratteristica e il fondamento dell’unione
dei discepoli di Cristo. Così i cristiani devono difendersi da gente estranea,
cioè da quelli che sono contro l’amore e che, di seguito, li accusano. Per G.
Crisostomo i cristiani e soprattutto i consacrati devono essere attenti e prudenti,
poiché quelli che sono contro l’amore di Cristo cercano onore e accusano i
cristiani di non onorarli. Lui invita a non onorare queste persone, perché questa azione
offenderebbe Dio.
A rovescio, i
cristiani non devono cercare omaggi ma, secondo lui, il fatto di non essere
onorato, non è un oltraggio. Basta l’umiltà. Pertanto, i cristiani devono
sempre difendersi dalle dicerie e portare avanti l’annuncio senza impaurirsi
per il fatto che sono pieni di amore e con questo amore non potranno tacere
davanti alle ingiustizie[5].
Il Libro III,
invece, tratta proprio del tema del sacerdozio. L’autore ne spiega il
significato, ne chiarisce il concetto, i suoi compiti, la sua potenza, il ruolo
che gli appartiene, cosa spetta al sacerdote fare. G. Crisostomo presenta per primo, uno dei
motivi per il quale non ha voluto essere vescovo, e cioè l’onore. Sembra infatti che abbiano deciso di farlo
vescovo per omaggi o onori, ma lui, rifiutando, non ha offeso nessuno.
Consiglia quindi utilizzare buone maniere per rifiutare qualcosa che viene
offerto, in modo da non oltraggiare nessuno, e questo è possibile. Il rifiuto
non significa debolezza ed invita a non accettare per vanagloria[6].
Ecco perché il
sacerdote dev’essere pieno dello Spirito Santo per conoscere queste cose. Anzi,
«Il sacerdozio si compie sulla terra ma appartiene all’ordine delle cose celesti»[7]. Perciò G.
Crisostomo ribadisce, a sua volta, che la relazione sacerdotale trascende i cieli.
Ciò avviene dal fatto che «qualunque cosa i sacerdoti compiano quaggiù Dio la
ratifica lassù»[8]. I sacerdoti sono dotati
dalla forza divina, compiono azioni con la potenza divina, pensiamo qui alla
remissione dei peccati che Dio opera tramite i suoi ministri istituiti
dall’ordine sacerdotale. G. Crisostomo fa un paragone fra i genitori e i
sacerdoti. Dice che i genitori danno ai figli una vita presente mentre i
sacerdoti generano per la vita futura. Inoltre, tanto più i genitori fanno
sempre lo sforzo di allontanare i figli dal male, quanto più, i sacerdoti
salvano le anime infermi con le preghiere e con l’assoluzione per la remissione
dei peccati e con l’insegnamento, fanno sì che nessuno cada nel peccato. Visto
la grandezza di questo incarico, il sacerdote deve avere un’anima coraggiosa e
forte, piena della grazia di Dio per resistere alle tempeste perché «le
tempeste che agitano l’anima del sacerdote sono maggiori dei venti che
sconvolgono il mare»[9].
L’anima del
sacerdote dev’essere salda per resistere alle tentazioni come i soldati che
sono fieri di combattere e di cadere da forti alla battaglia. È necessario che
il sacerdote sia non soltanto temperante ma anche perspicace per vivere non per
sé ma a favore della moltitudine di persone che gli sono affidate. E questa
temperanza lo deve portare ad evitare danni in mezzo alla comunità dei fedeli. Di
solito la moltitudine vede in lui un modello da seguire. Perciò sia i suoi meriti,
sia i suoi peccati, non rimangono mai nascosti perché tutti lo guardano. Molto
spesso, gli errori piccoli o grandi del sacerdote, sono visti da tutti, anzi
anche il piccolo errore viene considerato grande. È per questa ragione che G.
Crisostomo insiste sul fatto che il sacerdote dev’essere temperante e prudente.
A volte, nei diversi gruppi, la colpa non è misurata per la sua grandezza ma
per la dignità di chi l’ha commessa. Si chiede sempre la prudenza della parte
dei capi.
Nel contesto del
nostro tema, il sacerdote deve rimanere sempre prudente e temperante perché il
suo peccato può causare una ferita mortale all’interno della comunità
cristiana. Purtroppo, un piccolo errore del sacerdote offusca tutto il resto. Le
anime deboli possono scoraggiarsi, scandalizzarsi e abbandonare la fede. Tutti
vogliono giudicare il sacerdote non come un uomo fatto di carne e appartenente
alla natura umana, ma come un angelo libero dalle comuni insufficienze. Per
questa ragione, prosegue G. Crisostomo, è anche difficile l’elezione al
sacerdozio ministeriale. Tra i criteri, lui propone la pietà e la saggezza ed
evitare i criteri basati sull’amicizia, sull’importanza della famiglia del
candidato, sulle sue ricchezze ed altri criteri provenienti da sentimenti di
ogni genere perché i sentimenti portano a scegliere gli indegni e a respingere
gli idonei. Perciò è necessario invocare lo Spirito di Dio per promuovere i
candidati all’episcopato oppure al presbiterato. Questa scelta viene valutata
nel cammino formativo dei candidati per la gloria di Dio e per il bene della Chiesa[10].
Spetta al vescovo,
quindi anche al presbitero di curare gli infermi con molta attenzione,
soprattutto le vedove. I doni che vengono offerti a loro favore devono essere
distribuiti con giustizia, altrimenti il ministro che commette un’ingiustizia aumenta
la tristezza e il dolore degli infermi e lo scoraggiamento dei donatori. G. Crisostomo
mette l’accento su questo aspetto per attirare l’attenzione di quelli che hanno
la cura delle anime, menziona il fatto che può capitare di appropriarsi delle
cose delle vedove. Ciò che causa molti danni all’interno della Chiesa. Lui propone
la tolleranza e la giustizia, cause di ogni bene[11].
Dopo le vedove, G.
Crisostomo invita il vescovo a prendersi cura delle vergini che hanno promesso
di vivere nella condizione di ricercare la santità. Hanno bisogno di
sorveglianza e protezione per non essere divorate dal diavolo, nemico della
santità. Il nostro autore spiega perché il vescovo debba proteggere le vergini:
se non lo fa, perderà le loro anime e i loro danni cadranno su di lui[12].
Il libro IV continua
sul tema del sacerdozio e comincia con l’argomentazione di Basilio che prende
G. Crisostomo in giro, lo accuse di avere commesso un errore accettando la
carica sacerdotale. G. Crisostomo risponde che quella carica è superiore a
quella regale in quanto si tratta di guidare il gregge di Dio. Quindi fa difesa
di questo errore citando il sommo sacerdote Aronne che aveva ricevuto la carica
di fare sacrificio a favore degli Israeliti e di benedire il popolo di Israele.
Allora quello che secondo Basilio si chiama errore, non lo è secondo G.
Crisostomo, che prosegue
citando la vicenda di Aronne, il quale ha accettato il sacerdozio. Non ci sono
altre condizioni per accettarlo se non essere coscienti che è un incarico che
viene da Dio per guidare il suo popolo. In
questo senso, il sacerdozio è superiore al potere regale.
I sacerdoti sono
intercessori degli uomini presso Dio. Il popolo ne ha bisogno. Per questo
motivo loro devono curare ciò che fa progredire l’anima dal momento che sanno ciò
per cui sono stati eletti al sacerdozio ministeriale. Per G. Crisostomo, è
meglio non accedere al sacerdozio piuttosto che essere deriso come disse Gesù: «Chi di voi, volendo
costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i
mezzi per portarla a termine?» (Lc 14, 28). La Chiesa ha bisogno
dei sacerdoti capaci di assumere il loro ministero[13].
Dopo quest’argomentazione,
G. Crisostomo passa ad un altro tema ossia il ministero della parola. Secondo lui,
la parola di Dio dev’essere curata perché è «il cibo, la migliore aria e
sostituisce il farmaco, il cauterio, il ferro»[14]. In essa si deve
affermare una sola divinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Perciò
il sacerdote deve ricercare di guadagnare le anime con l’insegnamento della
parola comprendo la profondità dei concetti degli apostoli affinché possa
convincere i contradditori (Cf. Tit. 1, 9). Il sacerdote non dev’essere
insufficiente delle parole di Dio. Se il sacerdote è insufficiente della parola,
il popolo è chiamato alla rovina. Pertanto il sacerdote perderà le anime del popolo
e la sua propria anima. San Paolo aggiunge che «La fede viene dall’ascolto e
l’ascolto riguarda la parola di Cristo» (Rm 10, 17). In conseguenza di ciò,
abbiamo detto che è necessario che il sacerdote sia veramente eloquente della
parola, cioè nell’annunciare la parola di Dio al popolo che lo ascolta, altrimenti
è impossibile che il popolo creda[15].
Il libro V continua su
questa idea quando G. Crisostomo sottolinea che davanti alla difficoltà del
discorso al popolo, bisogna tenere presente due cose: il disprezzo delle lodi e
la forza della parola. Quando manca una, l’altra diviene inutile. Se uno cerca
gli applausi per i suoi discorsi, non aiuta il popolo spiritualmente, cerca
soltanto il suo onore e non il bene del popolo e la sua parola non avrà
successo. Per superare questo atteggiamento, G. Crisostomo propone di mostrare
la grandezza d’animo. Questo è possibile quando il sacerdote disprezza il
malanimo e l’invidia. Lui deve essere in grado di parlare ai suoi fedeli come
un padre ai suoi figli. Perciò non deve rallegrarsi se è lodato, deve adempiere
i suoi obblighi senza dimenticare di curare la sua mente. Su questo argomento,
G. Crisostomo vuole attirare l’attenzione di quelli che hanno il dono della
parola. Dice che devono curarla e considerarsi sempre esseri umani. Non devono
dimenticare che anche loro possono sbagliare. Aggiunge che molto spesso, lo
sbaglio di chi sa parlare si sente subito dagli uditori. Perciò chi sa parlare
è chiamato a curare la sua mente perché non è ancora giunto alla perfezione.
Deve rinnovarsi, considerarsi umile anche esperto nel parlare e fare
aggiornamenti spirituali. Qui si capisce subito l’importanza degli esercizi
spirituali, della confessione, gli esercizi di pietà e le letture personali
della parola di Dio[16].
Il libro VI ed
ultimo di quest’opera, appare come un avvertimento nella linea del punto
precedente. G. Crisostomo dice: «L’anima del sacerdote ha da essere più
pura dei raggi del sole perché lo spirito santo non lo abbandoni mai e possa
dire: vivo non già io, ma vive in me Cristo (Gal 2, 20)»[17].
Se è così la sua anima, il sacerdote salverà le anime a lui affidate,
altrimenti la punizione sarà grande a suo riguardo quando renderà conto della
missione presso Dio. La sua anima deve essere salda nella temperanza come
dicevamo prima. Inoltre, il nostro autore ci insegna che gli angeli circondano
il sacerdote, in forza di ciò che si compie in lui. Bisogna che l’anima del
sacerdote risplenda come luce che illumina il mondo. I sacerdoti sono sale
della terra (Cf. Mt 5, 13). È normale che evitino ogni sorta di adulazione,
ipocrisia.
G. Crisostomo
sostiene che «È necessario che i sacerdoti trattino con uomini che hanno
moglie, che allevano figli, che tengono servi, che sono circondati da molta
ricchezza, che gestiscono il pubblico potere e che sono nelle cariche. Non è da
comportarsi in un modo con tutti i fedeli. Non è bello per i medici procedere
con una sola norma con i pazienti, né per il nocchiero conoscere una sola via
per combattere i venti. Tutte queste cose sono per la gloria di Dio e per
l’edificazione della chiesa»[18].
Le categorie sopra elencate, sicuramente non
sono una lista esaustiva. L’autore vuole semplicemente sottolineare che il
sacerdote è pastore di tutti e vive in mezzo a loro, con loro, ma non come
loro. Lui vive da sacerdote, tocca le realtà dei fedeli per presentarle al
Signore mediante il sacrificio, i sacramenti e la predicazione. Non c’è da
meravigliarsi, deve fare tutto per la gloria di Dio e deve educarsi a
disprezzare le lodi della massa. G. Crisostomo aggiunge che la solitudine è una
cosa buona per chi la preferisce perché chi la preferisce non ha molti che lo
molestino, né ammiratori. Tuttavia gli manca una cosa, quella di educarsi a
disprezzare la gloria[19].
Dopo questo, Basilio
pone un altro problema, quello della scelta dei sacerdoti. Chiede a G.
Crisostomo, chi può essere sacerdote. Per G. Crisostomo viene scelto al
sacerdozio, uno che può conservare intatta e genuina la purezza, la calma, la
santità, la fortezza, la sobrietà e tutte le altre virtù che si riscontrano nei
monaci, è più di quei solitari[20].
«Il sacerdote deve
impedire le cause delle maldicenze, delle dicerie cattive e prevedere da
lontano donde sorgono e rimuovere i motivi che le possono generare, senza
aspettare che esse prendano consistenza e passino tra molti di bocca in bocca.
Da ricordare che anche le piaghe del sacerdote devono essere curate per evitare
il castigo. Prima dei profeti volendo, a proposito dei sacrifici, dimostrare
che le colpe ricevono maggior castigo quando siano commesse dai sacerdoti che
dai privati, ordina di offrire per i sacerdoti un sacrificio quanto per il
popolo tutto. Sono più gravi, non per natura, ma per la dignità del sacerdote
che ardisce ciò»[21].
Il sacerdote deve
sempre combattere le passioni affinché sia capace di salvare la propria anima e
le anime a lui affidate. Deve sempre combattere e non deve deporre le armi. Col
maligno non è possibile deporre le armi. Con tutti questi argomenti, Basilio
non ha trovato la riposta convincente a dare agli accusatori di G. Crisostomo.
Non è soddisfatto, pur essendo già arrivati alla fine del dialogo. Comunque G.
Crisostomo insiste sul fatto che basta la fiducia in Cristo in tutto ciò che
può fare il sacerdote[22].
CONCLUSIONE
Per concludere
questo scritto, possiamo dire che il dialogo tra Basilio e G. Crisostomo sul
sacerdozio, risulta di una grande importanza per capire la funzione del
sacerdozio nella vita della Chiesa. Abbiamo capito che il sacerdozio è
esercitato sulla terra ma fa parte della realtà delle cose celesti perché esso
è di istituzione divina, per mezzo di Gesù Cristo. La sua funzione è di
insegnare, santificare e governare. Chi riceve questo ministero è chiamato ad
osservare gli obblighi, per la salvezza della sua anima e delle anime a lui
affidate, ciò per la gloria di Dio e per l’edificazione della chiesa. Il
sacerdote deve avere sempre la fiducia in Cristo che lo ha mandato, in tutto
quello che svolge nel suo ministero. Con queste grande linee del libro di G.
Crisostomo Il sacerdozio, possiamo dire che il riassunto da noi fatto,
ci chiama ad appropriarci quella riflessione che è di attualità per la nostra
vita.
BIBLIOGRAFIA
CRISOSTOMO G., Il sacerdozio, Città
nuova, Roma, 1980.
INDICE
[1] Cf. G. CRISOSTOMO, Il sacerdozio,
Città nuova, Roma, 1980, 28-30.
[2] G. CRISOSTOMO, Il Sacerdozio, 45.
[3] Cf. G. CRISOSTOMO, 45-47.
[4] Cf. G. CRISOSTOMO, 48-50.
[5] Cf. G. CRISOSTOMO, 55-57.
[6] Cf. G. CRISOSTOMO, 58-61.
[7] G. CRISOSTOMO, 61.
[8] G. CRISOSTOMO, 63.
[9] G. CRISOSTOMO, 68.
[10] Cf. G. CRISOSTOMO, 68-81.
[11] Cf. G. CRISOSTOMO, 81-87.
[12] Cf. G. CRISOSTOMO, 87-90.
[13] G. CRISOSTOMO, 92-103.
[14] G. CRISOSTOMO, 104.
[15] G. CRISOSTOMO, 104-119.
[16] Cf. G. CRISOSTOMO, 121-130.
[17] G. CRISOSTOMO, 132.
[18] Cf. G. CRISOSTOMO, 136-137.
[19] Cf. G. CRISOSTOMO, 140.
[20] Cf. G. CRISOSTOMO, 141.
[21] G. CRISOSTOMO, 144-145.
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