lundi 7 mai 2018

Giovanni CRISOSTOMO, Il Sacerdozio



INTRODUZIONE

San Giovanni Crisostomo è proprio l’autore del libro che è a nostra disposizione col titolo, Il Sacerdozio, da lui scritto nel 386 in lingua latina. Leggendo questo testo, nella traduzione italiana del 1980 a cura di Antonio Quacquarelli, vediamo che si parla di sacerdozio fin dall’inizio del Cristianesimo.  All’interno dell’opera, l’autore racconta la sua esperienza sacerdotale che può essere utile ad ogni sacerdote. Con queste premesse, ci troviamo davanti ad un’importantissima tematica per la storia della Chiesa all’interno della quale G. Crisostomo inserisce la propria esperienza sacerdotale. Per questo motivo, lo scopo del nostro lavoro è di presentare l’opera stessa, capirne le linee principali e il contributo che viene offerto al ministero sacerdotale.
Il metodo che abbiamo seguito è la comprensione e abbiamo fatto lo sforzo di esprimere il pensiero dell’autore senza cambiarne il significato. Forse la nostra umile conoscenza della lingua italiana non ci ha permesso di esprimerci correttamente. Comunque l’obiettivo è stato di presentare tutta l’opera: essa è divisa in sei libri, i quali sono divisi al loro interno in titoli e poi in numeri. I numeri sono 624. 
I protagonisti dell’opera sono G. Crisostomo e Basilio: infatti, G. Crisostomo presenta Basilio come un suo amico con cui condivide la vita e l’esperienza sacerdotali. Perciò, il genere letterario può essere definito come un dialogo tra questi due protagonisti, in cui abbiamo presentato il contenuto prima della conclusione. 
  
IL CONTENUTO DELL’OPERA, «IL SACERDOZIO», DI GIOVANNI CRISOSTOMO
Abbiamo osservato in precedenza che «Il sacerdozio» è diviso in sei libri. All’inizio del libro I, G. Crisostomo esegue una sorta di autobiografia parlando della sua amicizia con Basilio nel periodo dell’infanzia e poi ricorda i consigli di sua madre. Ciò che per lui è molto interessante è che l’amicizia porta a vivere una vita comune e permette a quelli che hanno concordato per una buona amicizia, di fare le stesse cose nello stesso modo.  Sono principalmente due cose da non dimenticare: in primo luogo, non bisogna offendere Dio senza ragione, in secondo luogo non bisogna abbandonare l’amicizia con la madre. Che meraviglia! Dio ci dà la Vita e la madre ci dà la vita a questo mondo. La madre di G. Crisostomo insiste sul fatto che è madre colei che rende agevole il cammino di questa vita, tramite l’educazione[1].
Si vede subito che già dalla famiglia si impara a vivere nell’amicizia con Dio, con la propria madre e con il mondo esteriore. Si inizia ad entrare in intimità con Dio e con la sua creazione: sia con gli uomini, immagini di Dio, sia con le altre creature. Il bambino impara queste cose in vista del futuro. Così, chi osserva l’insegnamento dei genitori impara già ad essere un buon sacerdote. Da questo pensiero possiamo sostenere quello che molto spesso si dice: «Un buon sacerdote viene da una buona famiglia». Anche G. Crisostomo viene da una buona famiglia, munito dall’educazione di sua madre, egli ha vissuto da buon sacerdote. Così intuiamo che, da sacerdote, G. Crisostomo ha veramente vissuto l’amicizia con Dio, e con la madre Chiesa. Qui possiamo comprendere il motivo per il quale ci racconta la sua vita sacerdotale ed episcopale dopo il paragrafo sull’amicizia e sui consigli di sua madre. Non voleva essere vescovo, ma ha finito per accettare questo incarico per amore di Dio e della Chiesa.
Il Libro II comincia con un dialogo tra G. Crisostomo e Basilio sul significato di un discepolo. Il discepolo è il servo chiamato dal Signore. Si tratta di un servo che pascola le pecore con amore e responsabilità. L’autore cita il caso del gregge che Gesù affida a Pietro (Cf. Gv 21, 15), per suscitare in noi la coscienza di dare della priorità al governo di questo gregge, popolo di Dio, che il nostro autore chiama «il gregge razionale di Cristo»[2]. Pertanto ogni pastore viene chiamato a difendere il gregge da ogni cattiveria di questo mondo, per esempio, le opere della carne enumerate in San Paolo «prostituzione, adulterio, fornicazione, sfrontatezza, idolatria, sortilegio, inimicizie, contese, invidie, ira, risse, oltraggi, maldicenze, orgoglio, sedizioni» (Gal 5, 19). Chi riceve un tale incarico lo deve fare come fosse un pastore che cura le ferite delle pecore, che porta le pecore ai corsi d’acqua, le fa riposare a pascoli erbosi e rende sicuro il loro cammino[3]. Anche qui, il nostro autore vuole mostrarci che ogni sacerdote è chiamato a pascolare il gregge così come lo fa il Signore, in quanto pastore di tutti noi (Cf. Sal 22 /23).
Però, G. Crisostomo ricorda che per curare le pecore che sono «il gregge razionale di Cristo», non bisogna usare la forza come i magistrati, ma la persuasione, così che, chi si lascerà persuadere, troverà anche il vantaggio delle cure. È proprio in questo modo che ogni singolo salverà la sua anima. Dunque il pastore non deve limitare il campo con un muro di separazione, ma deve estendere la salvezza a tutto il popolo[4].
            Dopo questa discussione, ne nasce un’altra, sulla potenza dell’amore. I personaggi, Basilio e G. Crisostomo, sostengono che l’amore, per chi vuole essere di Cristo, sta al di sopra di tutto. Perché esso è il grande comandamento del Signore quando disse: «Da questo gli uomini conosceranno che siete miei discepoli, se vi amerete gli uni gli altri» (Gv 13, 35). Per loro, l’amore si colloca al di sopra di tutti i carismi. Esso distingue i seguaci di Cristo dagli altri uomini. Loro ribadiscono che l’amore è la caratteristica e il fondamento dell’unione dei discepoli di Cristo. Così i cristiani devono difendersi da gente estranea, cioè da quelli che sono contro l’amore e che, di seguito, li accusano. Per G. Crisostomo i cristiani e soprattutto i consacrati devono essere attenti e prudenti, poiché quelli che sono contro l’amore di Cristo cercano onore e accusano i cristiani di non onorarli. Lui invita a non onorare queste persone, perché questa azione offenderebbe Dio.
A rovescio, i cristiani non devono cercare omaggi ma, secondo lui, il fatto di non essere onorato, non è un oltraggio. Basta l’umiltà. Pertanto, i cristiani devono sempre difendersi dalle dicerie e portare avanti l’annuncio senza impaurirsi per il fatto che sono pieni di amore e con questo amore non potranno tacere davanti alle ingiustizie[5].
Il Libro III, invece, tratta proprio del tema del sacerdozio. L’autore ne spiega il significato, ne chiarisce il concetto, i suoi compiti, la sua potenza, il ruolo che gli appartiene, cosa spetta al sacerdote fare.  G. Crisostomo presenta per primo, uno dei motivi per il quale non ha voluto essere vescovo, e cioè l’onore. Sembra infatti che abbiano deciso di farlo vescovo per omaggi o onori, ma lui, rifiutando, non ha offeso nessuno. Consiglia quindi utilizzare buone maniere per rifiutare qualcosa che viene offerto, in modo da non oltraggiare nessuno, e questo è possibile. Il rifiuto non significa debolezza ed invita a non accettare per vanagloria[6].
Ecco perché il sacerdote dev’essere pieno dello Spirito Santo per conoscere queste cose. Anzi, «Il sacerdozio si compie sulla terra ma appartiene all’ordine delle cose celesti»[7]. Perciò G. Crisostomo ribadisce, a sua volta, che la relazione sacerdotale trascende i cieli. Ciò avviene dal fatto che «qualunque cosa i sacerdoti compiano quaggiù Dio la ratifica lassù»[8]. I sacerdoti sono dotati dalla forza divina, compiono azioni con la potenza divina, pensiamo qui alla remissione dei peccati che Dio opera tramite i suoi ministri istituiti dall’ordine sacerdotale. G. Crisostomo fa un paragone fra i genitori e i sacerdoti. Dice che i genitori danno ai figli una vita presente mentre i sacerdoti generano per la vita futura. Inoltre, tanto più i genitori fanno sempre lo sforzo di allontanare i figli dal male, quanto più, i sacerdoti salvano le anime infermi con le preghiere e con l’assoluzione per la remissione dei peccati e con l’insegnamento, fanno sì che nessuno cada nel peccato. Visto la grandezza di questo incarico, il sacerdote deve avere un’anima coraggiosa e forte, piena della grazia di Dio per resistere alle tempeste perché «le tempeste che agitano l’anima del sacerdote sono maggiori dei venti che sconvolgono il mare»[9].
L’anima del sacerdote dev’essere salda per resistere alle tentazioni come i soldati che sono fieri di combattere e di cadere da forti alla battaglia. È necessario che il sacerdote sia non soltanto temperante ma anche perspicace per vivere non per sé ma a favore della moltitudine di persone che gli sono affidate. E questa temperanza lo deve portare ad evitare danni in mezzo alla comunità dei fedeli. Di solito la moltitudine vede in lui un modello da seguire. Perciò sia i suoi meriti, sia i suoi peccati, non rimangono mai nascosti perché tutti lo guardano. Molto spesso, gli errori piccoli o grandi del sacerdote, sono visti da tutti, anzi anche il piccolo errore viene considerato grande. È per questa ragione che G. Crisostomo insiste sul fatto che il sacerdote dev’essere temperante e prudente. A volte, nei diversi gruppi, la colpa non è misurata per la sua grandezza ma per la dignità di chi l’ha commessa. Si chiede sempre la prudenza della parte dei capi.
Nel contesto del nostro tema, il sacerdote deve rimanere sempre prudente e temperante perché il suo peccato può causare una ferita mortale all’interno della comunità cristiana. Purtroppo, un piccolo errore del sacerdote offusca tutto il resto. Le anime deboli possono scoraggiarsi, scandalizzarsi e abbandonare la fede. Tutti vogliono giudicare il sacerdote non come un uomo fatto di carne e appartenente alla natura umana, ma come un angelo libero dalle comuni insufficienze. Per questa ragione, prosegue G. Crisostomo, è anche difficile l’elezione al sacerdozio ministeriale. Tra i criteri, lui propone la pietà e la saggezza ed evitare i criteri basati sull’amicizia, sull’importanza della famiglia del candidato, sulle sue ricchezze ed altri criteri provenienti da sentimenti di ogni genere perché i sentimenti portano a scegliere gli indegni e a respingere gli idonei. Perciò è necessario invocare lo Spirito di Dio per promuovere i candidati all’episcopato oppure al presbiterato. Questa scelta viene valutata nel cammino formativo dei candidati per la gloria di Dio e per il bene della Chiesa[10].
Spetta al vescovo, quindi anche al presbitero di curare gli infermi con molta attenzione, soprattutto le vedove. I doni che vengono offerti a loro favore devono essere distribuiti con giustizia, altrimenti il ministro che commette un’ingiustizia aumenta la tristezza e il dolore degli infermi e lo scoraggiamento dei donatori. G. Crisostomo mette l’accento su questo aspetto per attirare l’attenzione di quelli che hanno la cura delle anime, menziona il fatto che può capitare di appropriarsi delle cose delle vedove. Ciò che causa molti danni all’interno della Chiesa. Lui propone la tolleranza e la giustizia, cause di ogni bene[11].
Dopo le vedove, G. Crisostomo invita il vescovo a prendersi cura delle vergini che hanno promesso di vivere nella condizione di ricercare la santità. Hanno bisogno di sorveglianza e protezione per non essere divorate dal diavolo, nemico della santità. Il nostro autore spiega perché il vescovo debba proteggere le vergini: se non lo fa, perderà le loro anime e i loro danni cadranno su di lui[12].
Il libro IV continua sul tema del sacerdozio e comincia con l’argomentazione di Basilio che prende G. Crisostomo in giro, lo accuse di avere commesso un errore accettando la carica sacerdotale. G. Crisostomo risponde che quella carica è superiore a quella regale in quanto si tratta di guidare il gregge di Dio. Quindi fa difesa di questo errore citando il sommo sacerdote Aronne che aveva ricevuto la carica di fare sacrificio a favore degli Israeliti e di benedire il popolo di Israele. Allora quello che secondo Basilio si chiama errore, non lo è secondo G. Crisostomo, che prosegue citando la vicenda di Aronne, il quale ha accettato il sacerdozio. Non ci sono altre condizioni per accettarlo se non essere coscienti che è un incarico che viene da Dio per guidare il suo popolo. In questo senso, il sacerdozio è superiore al potere regale.
I sacerdoti sono intercessori degli uomini presso Dio. Il popolo ne ha bisogno. Per questo motivo loro devono curare ciò che fa progredire l’anima dal momento che sanno ciò per cui sono stati eletti al sacerdozio ministeriale. Per G. Crisostomo, è meglio non accedere al sacerdozio piuttosto che essere deriso come disse Gesù: «Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine?» (Lc 14, 28). La Chiesa ha bisogno dei sacerdoti capaci di assumere il loro ministero[13].
Dopo quest’argomentazione, G. Crisostomo passa ad un altro tema ossia il ministero della parola. Secondo lui, la parola di Dio dev’essere curata perché è «il cibo, la migliore aria e sostituisce il farmaco, il cauterio, il ferro»[14]. In essa si deve affermare una sola divinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Perciò il sacerdote deve ricercare di guadagnare le anime con l’insegnamento della parola comprendo la profondità dei concetti degli apostoli affinché possa convincere i contradditori (Cf. Tit. 1, 9). Il sacerdote non dev’essere insufficiente delle parole di Dio. Se il sacerdote è insufficiente della parola, il popolo è chiamato alla rovina. Pertanto il sacerdote perderà le anime del popolo e la sua propria anima. San Paolo aggiunge che «La fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo» (Rm 10, 17). In conseguenza di ciò, abbiamo detto che è necessario che il sacerdote sia veramente eloquente della parola, cioè nell’annunciare la parola di Dio al popolo che lo ascolta, altrimenti è impossibile che il popolo creda[15].
Il libro V continua su questa idea quando G. Crisostomo sottolinea che davanti alla difficoltà del discorso al popolo, bisogna tenere presente due cose: il disprezzo delle lodi e la forza della parola. Quando manca una, l’altra diviene inutile. Se uno cerca gli applausi per i suoi discorsi, non aiuta il popolo spiritualmente, cerca soltanto il suo onore e non il bene del popolo e la sua parola non avrà successo. Per superare questo atteggiamento, G. Crisostomo propone di mostrare la grandezza d’animo. Questo è possibile quando il sacerdote disprezza il malanimo e l’invidia. Lui deve essere in grado di parlare ai suoi fedeli come un padre ai suoi figli. Perciò non deve rallegrarsi se è lodato, deve adempiere i suoi obblighi senza dimenticare di curare la sua mente. Su questo argomento, G. Crisostomo vuole attirare l’attenzione di quelli che hanno il dono della parola. Dice che devono curarla e considerarsi sempre esseri umani. Non devono dimenticare che anche loro possono sbagliare. Aggiunge che molto spesso, lo sbaglio di chi sa parlare si sente subito dagli uditori. Perciò chi sa parlare è chiamato a curare la sua mente perché non è ancora giunto alla perfezione. Deve rinnovarsi, considerarsi umile anche esperto nel parlare e fare aggiornamenti spirituali. Qui si capisce subito l’importanza degli esercizi spirituali, della confessione, gli esercizi di pietà e le letture personali della parola di Dio[16].
Il libro VI ed ultimo di quest’opera, appare come un avvertimento nella linea del punto precedente. G. Crisostomo dice: «L’anima del sacerdote ha da essere più pura dei raggi del sole perché lo spirito santo non lo abbandoni mai e possa dire: vivo non già io, ma vive in me Cristo (Gal 2, 20)»[17]. Se è così la sua anima, il sacerdote salverà le anime a lui affidate, altrimenti la punizione sarà grande a suo riguardo quando renderà conto della missione presso Dio. La sua anima deve essere salda nella temperanza come dicevamo prima. Inoltre, il nostro autore ci insegna che gli angeli circondano il sacerdote, in forza di ciò che si compie in lui. Bisogna che l’anima del sacerdote risplenda come luce che illumina il mondo. I sacerdoti sono sale della terra (Cf. Mt 5, 13). È normale che evitino ogni sorta di adulazione, ipocrisia.
G. Crisostomo sostiene che «È necessario che i sacerdoti trattino con uomini che hanno moglie, che allevano figli, che tengono servi, che sono circondati da molta ricchezza, che gestiscono il pubblico potere e che sono nelle cariche. Non è da comportarsi in un modo con tutti i fedeli. Non è bello per i medici procedere con una sola norma con i pazienti, né per il nocchiero conoscere una sola via per combattere i venti. Tutte queste cose sono per la gloria di Dio e per l’edificazione della chiesa»[18].
 Le categorie sopra elencate, sicuramente non sono una lista esaustiva. L’autore vuole semplicemente sottolineare che il sacerdote è pastore di tutti e vive in mezzo a loro, con loro, ma non come loro. Lui vive da sacerdote, tocca le realtà dei fedeli per presentarle al Signore mediante il sacrificio, i sacramenti e la predicazione. Non c’è da meravigliarsi, deve fare tutto per la gloria di Dio e deve educarsi a disprezzare le lodi della massa. G. Crisostomo aggiunge che la solitudine è una cosa buona per chi la preferisce perché chi la preferisce non ha molti che lo molestino, né ammiratori. Tuttavia gli manca una cosa, quella di educarsi a disprezzare la gloria[19].
Dopo questo, Basilio pone un altro problema, quello della scelta dei sacerdoti. Chiede a G. Crisostomo, chi può essere sacerdote. Per G. Crisostomo viene scelto al sacerdozio, uno che può conservare intatta e genuina la purezza, la calma, la santità, la fortezza, la sobrietà e tutte le altre virtù che si riscontrano nei monaci, è più di quei solitari[20].
«Il sacerdote deve impedire le cause delle maldicenze, delle dicerie cattive e prevedere da lontano donde sorgono e rimuovere i motivi che le possono generare, senza aspettare che esse prendano consistenza e passino tra molti di bocca in bocca. Da ricordare che anche le piaghe del sacerdote devono essere curate per evitare il castigo. Prima dei profeti volendo, a proposito dei sacrifici, dimostrare che le colpe ricevono maggior castigo quando siano commesse dai sacerdoti che dai privati, ordina di offrire per i sacerdoti un sacrificio quanto per il popolo tutto. Sono più gravi, non per natura, ma per la dignità del sacerdote che ardisce ciò»[21].
Il sacerdote deve sempre combattere le passioni affinché sia capace di salvare la propria anima e le anime a lui affidate. Deve sempre combattere e non deve deporre le armi. Col maligno non è possibile deporre le armi. Con tutti questi argomenti, Basilio non ha trovato la riposta convincente a dare agli accusatori di G. Crisostomo. Non è soddisfatto, pur essendo già arrivati alla fine del dialogo. Comunque G. Crisostomo insiste sul fatto che basta la fiducia in Cristo in tutto ciò che può fare il sacerdote[22].

CONCLUSIONE

Per concludere questo scritto, possiamo dire che il dialogo tra Basilio e G. Crisostomo sul sacerdozio, risulta di una grande importanza per capire la funzione del sacerdozio nella vita della Chiesa. Abbiamo capito che il sacerdozio è esercitato sulla terra ma fa parte della realtà delle cose celesti perché esso è di istituzione divina, per mezzo di Gesù Cristo. La sua funzione è di insegnare, santificare e governare. Chi riceve questo ministero è chiamato ad osservare gli obblighi, per la salvezza della sua anima e delle anime a lui affidate, ciò per la gloria di Dio e per l’edificazione della chiesa. Il sacerdote deve avere sempre la fiducia in Cristo che lo ha mandato, in tutto quello che svolge nel suo ministero. Con queste grande linee del libro di G. Crisostomo Il sacerdozio, possiamo dire che il riassunto da noi fatto, ci chiama ad appropriarci quella riflessione che è di attualità per la nostra vita.




      

BIBLIOGRAFIA

CRISOSTOMO G., Il sacerdozio, Città nuova, Roma, 1980.


INDICE

INDICE…………………….……………………………………………………….……13


[1] Cf. G. CRISOSTOMO, Il sacerdozio, Città nuova, Roma, 1980, 28-30.
[2] G. CRISOSTOMO, Il Sacerdozio, 45.
[3] Cf. G. CRISOSTOMO, 45-47.
[4] Cf. G. CRISOSTOMO, 48-50.
[5] Cf. G. CRISOSTOMO, 55-57.
[6] Cf. G. CRISOSTOMO, 58-61.
[7] G. CRISOSTOMO, 61.
[8] G. CRISOSTOMO, 63.
[9] G. CRISOSTOMO, 68.
[10] Cf. G. CRISOSTOMO, 68-81.
[11] Cf. G. CRISOSTOMO, 81-87.
[12] Cf. G. CRISOSTOMO, 87-90.
[13] G. CRISOSTOMO, 92-103.
[14] G. CRISOSTOMO, 104.
[15] G. CRISOSTOMO, 104-119.
[16] Cf. G. CRISOSTOMO, 121-130.
[17] G. CRISOSTOMO, 132.
[18] Cf. G. CRISOSTOMO, 136-137.
[19] Cf. G. CRISOSTOMO, 140.
[20] Cf. G. CRISOSTOMO, 141.
[21] G. CRISOSTOMO, 144-145.
[22] G. CRISOSTOMO, 153-154.

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