INTRODUZIONE
Il sacrificio di Cristo come possiamo intenderlo, è senz’altro un segno fondamentale e
Nel brano della Lettera agli Ebrei 10, 1-10 che analizziamo
in questo scritto, Gesù ci spiega chiaramente il fine della sua vocazione.
Tutto è veramente chiaro con quelle parole che l’autore sacro considera come
parole di Gesù. Prima di tutto, e come lo vedremo, la nostra redenzione è
l’opera del Padre mediante il Figlio. La potenza di Dio supera ogni cosa. Anche
i sacrifici che vengono offerti per i peccati, Dio non li gradisce più perché
non sono effecaci per cancellare, per sempre, i peccati del popolo; non soltanto
del popolo ma anche i peccati del sacerdote stesso che entra ogni giorno nella
tenda per offrire sacrifici, pure per se stesso. Il loro sacrificio è rimasto
un simplice ritualismo. Non servono più a nulla se non che nel culto affinché
il popolo possa ricordarsi dei propri peccati. Il sangue di tori e di capri non
gode più a Dio. Di conseguenza, il popolo rimane nel peccato.
Vedendo ciò, Dio, nella sua misericordia, mandò il
proprio Figlio per riscatare il suo popolo dalle colpe. Il Figlio, a sua volta
si abbassò, si umiliò, obbedisse al Padre, venne nel mondo a cercare l’uomo
perduto. Egli consegnò se stesso con il proprio sangue; sangue che sostituisce
quello degli agnelli. Cristo divenne così l’agnello immolato, l’agnello senza
macchia, capace e efficace per
elliminare i peccati una volta per sempre. La sua donazione rapresenta questa
offerta, l’unica offerta che gode al Padre. E così viene salvato il popolo
intero.
È proprio questa idea che cerchiamo di capire in questo
lavoro. La nostra indigine si occuperà prima di tutto di presentare il brano
completo per il fatto che esso è la fonte principale della nostra ricerca sul
tema del sacrificio di Cristo. Lo scopo è di raggiungere il senso letterario,
teologico, cristologico e messianico di questo brano in modo che si capisca il
significato sublime che vi è nascoto.
Dobbiamo dire
inanzitutto che è un passo della Lettera agli Ebrei sapendo che questa lettera è un’esortazione. A questo punto di vista,
Mario Masini dice che: “Lo scritto “agli
Ebrei” si qualifica esso stesso come “parole (o doscorso) di esortazione (13,
22)”[1].
Qui, si chiede subito, esortazione a chi e su che cosa? La risposta è molto
semplice con Mario Masini: “Le
considerazioni fatte all’inizio ci hanno mostrato già che gli “ebrei”
destinatari di questo scritto sono cristiani provenienti dal giudaismo e di
cultura ellenistica”[2]. E con più chiarezza sui destinatari, lo stesso
Mario Masini descrive con molta spiegazione e precisione, la loro situazione
dottrinale e spirituale e scrive:
“ Nel tempo in cui
riceve questo scritto tale gruppo cristiano è sotto la minaccia, o la realtà,
di una persecuzione (cf. 12,3) e / o dell’agressione da parte di dottrine
diverse e peregrine (cf. 13, 9ss), forse gnostiche, e di pratiche di sapore giudaizzante (cf. 13,
10ss). Sotto l’urto di tali assalti l’”illuminazione” ha perso chiarezza (cf.
5, 11) e lo “zelo” ardore ( 6, 11-12), si è ingenerato un certo “desimpegno”
(10, 25), è venuta meno la “franchezza” e la “speranza” (10, 22-23), e alcuni
cristiani sono addirittura tentati di apostatare (3, 12)[3].
Quindi ci vuole
un’esortazione per incoraggiare tutti i seguaci di Cristo a perseverare nella
fede e ad evitare ogni sorta di dottrina diversa da quella di Cristo. Il nostro
brano si situa dunque in questo contesto. Tutti i destinatari sono chiamati a
sapere che l’unico sacrificio efficace per elliminare i peccati una volta per
sempre è stato appunto quello di Cristo, non più i sacrifici prescritti nella
legge perché Dio non li gradisce più a causa della loro funzione inefficace.
Detto ciò, ci
pare opportuno presentare questo brano in modo che sia chiara la sua struttura
con la spiegazione di alcuni dei sui termini principali. Questa struttura ci
permetterà di avere in mente il senso dei singoli concetti. E come lo abbiamo
già detto, il punto di partenza
di questo scritto si trova nella Lettera agli Eb 10, 1-10, quando l’autore di
quella stessa lettera scrive:
« La legge infatti,
poiché possiede soltanto un’ombra dei beni futuri e non la realtà stessa delle
cose, non ha mai il potere di condurre alla perfezione per mezzo di
sacrifici-sempre uguali, che si continuano a offrire di anno in anno-coloro che
si accostano a Dio. altrimenti, non si sarebbe forse cessato di offrirli, dal
momento che gli offerenti, purificati una volta per tutte, non avrebbero più
alcuna coscienza dei peccati? Invece in quei sacrifici si rinnova di anno in
anno il ricordo dei peccati. È impossibile infatti che il sangue di tori e di
capri elimini i peccati. Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice: Tu non
hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai
gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco, io
vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua
volontà. Dopo aver detto: Tu non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né
offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato, cose che vengono offerte secondo
la Legge, soggiunge: Ecco, io vengo a fare la tua volontà. Così egli abolisce
il primo sacrificio per costituire quello nuovo. Mediante quella volontà siamo
stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta
per sempre »[4].
I sacrifici prescritti nella legge, infatti, non godevano
più al Padre visto che non erano effficaci per il fatto che non producevano
effetti necessari per la salvezza degli uomini. Allora Gesù consegnò se stesso
per fare la volontà del Padre che lo ha mandato. È proprio questo che osserva
Claudio Bottini quando sottolinea che :
“Ai sacrifici
della legge, l’autore oppone in 10, 5-10 il sacrificio di Cristo che li ha
aboliti. Non solo, ma presenta come scopo specifico della sua venuta nel mondo
l’abrogazione di tutti i sacrifici della legge non graditi a Dio; li ha
sostituiti con il sacrificio di se stesso per compiere la volontà salvifica di
Dio. Per esprimere questa verità egli usa come mezzo espressivo efficace ed
adeguato le parole del Sal 40 (39), 7-9 e le considera come parole di Cristo
stesso, in quanto ciò che dicono preanunciano misteriosamente il mistero della
volontà di Dio che in lui si è compiuto ( cf. Vanhye, Sacerdoti antichi, 169)”[5].
La problematica
centrale è appunto il sacrificio di Cristo che sostituisce i sacrifici antichi
che venivano offerto ogni anno, però senza elliminare i peccati per sempre. Anche
qui si può chiedere che cosa si intende per la volontà del Padre. La volontà
del Padre è, come dice il testo, di salvare il popolo dai peccati. Perciò si
deve offrire il sacrificio che gode a Dio. Quale? Il sacrificio di Cristo e non
sacrifici imperfetti. Seguiremo dunque questa perspettiva per scrutare il senso
nascoto in essa. Prima di questo, vediamo la struttura del brano.
Questo brano contiene
tre parti principali. Nella prima parte, cioè Eb 10, 1-4, troviamo
l’inefficacia dei sacrifici prescritti nella legge. “Quindi i sacrifici non
possono rendere perfetti coloro che si accostano a Dio nel culto perché la
legge che li stabilisce non possiede i beni della salvezza cioè non ha la
possibilità di salvare”[6].
Nella seconda parte,
invece, cioè in Eb 10, 4-7, abbiamo una verità di fede quella di credere che la
remissione dei peccati vienne dal sacrificio di Cristo. Inoltre, “È impossibile infatti che il sangue
di tori e di capri elimini i peccati. Per questo, entrando nel mondo, Cristo
dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai
preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho
detto: Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per
fare, o Dio, la tua volontà”.
Alcuni studiosi
sostengono che la terza parte, cioè Eb 10, 8-10 è piutosto il commento
dell’autore sul Salmo 40 (39), 7-9 usato come parole di Gesù nel nostro brano.
Citiamo fra di loro, Claudio Bottini che ci trasmette questo:
“ed è proprio
questo che ha compiuto e che l’autore in 10,8-10 commentando le parole del
salmo alla luce di ciò che in Cristo è avvenuto:” Dopo aver detto: Tu non hai
voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per
il peccato, cose che vengono offerte secondo la Legge, soggiunge: Ecco, io
vengo a fare la tua volontà. Così egli abolisce il primo sacrificio per
costituire quello nuovo. Mediante quella volontà siamo stati santificati per
mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre”[7].
Questa struttura
ci permette dunque di avere un’idea più ampia sul tema stesso. Così sorge
qualche tema molto importante per guidare la nostra comprensione. Ci troviamo
davanti a diversi concetti che meritano un approfondimento. Cercheremo di
capire che cos’è il sacrificio. Bisogna pure sapere la differenza tra i
sacrifici prescriti nella legge e quello di Cristo. In altri termini, è
necessario sapere ciò che la legge di Mosè prescrive riguardo ai diversi tipi
di sacrifici. In seguito, dobbiamo riconoscere che è importante analizzare il
Salmo 40 (39), 7-9 che è quasi un’idea direttrice per la comprensione di questo
passo della Lettera gli Ebrei.
Con questa
analsi sarà più facile comprendere la problematica centrale in cui parleremo
nel primo capitolo, e cioè il sacrificio di Cristo come compimento dei
sacrifici antichi. Nel secondo capitolo parleremo, invece, degli effetti che
scatturiscono dal sacrificio di Cristo. Così questo lavoro potrà raggiungere il
suo scopo anche se non è esaustivo. Sarà arrichito dalla sacra scrittura come
fonte principale e da alcuni autori. Prima di tutto, dedichiamo la nostra
riflessione sulla comprensione del termine sacrificio e poi un’analisi del
Salmo 40 (39), 7-9.
Cosa si
intende con sacrificio? “Etimologicamente,
la parola sacrificio viene dal
latino sacrificium che
comprende sacrum, rito sacro, e
ficium, ficio. Sacrificare, cioè sacrum-ficare (ficare viene dal tema di facere), significa fare un rito sacro. Allora, il sacrificio
viene inteso come un atto di culto rituale presente in tutte le tradizioni
religiose, che implica generalmente un atteggiamento di sottomissione al sacro
e il desiderio di stabilire un rapporto con esso; può comportare offerte di
doni, cerimonie, invocazioni, preghiere. Nel cristianesimo, il termine
sacrificio è applicato alla morte di Cristo, offerta per i peccati del mondo e
alla commemorazione di essa nell’Eucaristia. Per estensione, il sacrificio
diventa qualsiasi offerta, reale o simbolica, materiale o spirituale, fatta a
Dio o alla divinittà. Inoltre, il sacrificio è un’offerta volontaria della
propria vita per il bene della patria, della società o per un ideale. Può
essere una grave privazione o una rinuncia, volontaria o imposta, a beni e
necessità elementari, materiali o morali”[8].
Il salmo 40 (39) fa
parte del salterio. Secondo Gianni
Barbiero, “Lo studio del salterio ha rilevanza non solo per comprendere il
divenire storico del libro, ma anche per cogliere il significato teologico dei salmi.
Certo ogni salmo è un poema a sé, ha una sua storia e una sua autonomia
poetica, ma il fatto di essere in quel punto del salterio gli conferisce un
significato particolare”[9]. Questa
affermazione vale per il salmo 40 (39) poiché, di per sé, gode della sua
autonomia e del suo significato all’interno del salterio. Esso è inserito nel primo
libro, uno dei cinque libri del salterio. Parlando dei cinque libri del
salterio, Gianni Barbiero dice che:
“Al livello canonico,
il salterio presenta una divisione in cinque libri. Tale divisione è marcata
dalle dossologie: Sal 41, 14;
72, 18-19; 89, 53; 106, 48. Ognuna di queste dossologie, che pure presentano
significative differenze, termina con un "amen". I cinque libri del
salterio sono dunque: Sal 1-41;
42-72; 73-89; 90-106; 107-150. Come sopra si è notato, la divisione in cinque
libri vuole probabilmente imitare la divisione della torah nei cinque libri del
Pentateuco, e presenta perciò il salterio come un compendio della Legge”[10].
Il tema centrale del
Salmo 40 (39) è l’azione di grazie come lo possiamo affermare con Gianni
Barbiero quando scrive: “La quarta raccolta comprende sette salmi (35-41) e
presenta, come la precedente, due itinerari di preghiera, dalla supplica, il
primo (Sal 35-37) culminante
nell'inno del Sal 36, il
secondo (Sal 38-41) nel
ringraziamento del Sal 40”[11].
Quindi questo Salmo è preceduto e seguito da Salmi di
supplica. La preoccupazione ci viene in mente per sapere come avviene questo.
La risposta viene ribadita da Gianni Barbiero dicendo: “forse questo riflette una situazione di sofferenza in cui si trovava Israele,
per cui il ricordo della liberazione nel passato fa salire ancor più viva la
supplica per la liberazione nel presente”[12].
I versetti 7-9 di questo Salmo espromono in qualche modo un’idea che il
salmista è invitato a rendere obbedienza a Dio, cioè a fare la volontà del
Padre. Gesù lo compie esattamente. Questo atteggiamento è proprio il
significato del Sacrificio di Cristo.
CAPITOLO I : IL SACRIFICIO DI CRISTO COME COMPIMENTO DEI SACRIFICI ANTICHI
Introduzione
Il sacrificio di Cristo presentato in Eb 10, 1-10 è in
confronto con i sacrifici antichi. L’autore sacro dimostra effettivamente che
quei sacrifici sono insufficenti per il fatto che non producevano il perdono
dei peccati in favore degli offerenti. Cristo,
invece, si è consegnato se stesso una volta per sempre per la salvezza di tutti
gli uomini. Ci pare dunque opportuno analizzare questi due aspetti.
In questo brano
(Eb 10, 1-10), si parla di diversi tipi di sacrifici ossia del sacrificio, dell’offerta, di olocausti e di sacrifici per
il peccato. Descrivendo questi tipi di sacrifici, Antonio Charbel sottolinea
che: « L’olocausto è il sacrificio nel
quale la vittima tutta intera viene consumata sull’altare»[13]. Riguardo ai sacrifici per il peccato, dice: “Questi tipi di sacrifici sono prescritti per
chi non osserva la legge del Signore per ignoranza o per inavvertenza
involontaria”[14].
Tutti questi
sacrifici vengono ripetutti ogni anno alla ricerca del perdono dei peccati. Il
popolo esprime profondamemente il desiderio di pentirsi e di ricevere da Dio,
il perdono dei peccati. Ma non ci si arriva a causa dell’ insufficenza degli
stessi sacrifici poiché non accedono ala presenza di Dio.
Parlando del
confronto tra i sacrifici antichi e il sacrificio di Cristo, dal punto di vista
del loro culto, Nello Casalini sostiene che “facendo il confronto con il
sacrificio espiatorio del sommo sacerdote descritto in Eb 9, 7 risulta che il
Cristo ha compiuto realmente ciò che l’altro eseguiva nei riti, simbolicamente.
Infatti il Cristo, con la sua morte, ha realmente ottenuto il perdono e ha
avuto accesso per sempre alla presenza di Dio. Mentre l’altro entrava solo in
una tenda, simbolo della presenza divina e di conseguenza il rito
dell’aspersione del sangue in vista del perdono, era puramente indicativo di un
perdono sperato ma non ottenuto, perché non accedeva a Dio”[15].
Possiamo dire che questi
sacrifici si offrivano per osservanza della legge di Mosè : « Questa sarà per voi una legge perenne: una
volta all’anno si compirà il rito espiatorio in favore degli Israeliti, per
tutti i loro peccati ». E si fece come il Signore aveva ordinato a Mosè (Lv
16, 34). Perciò non possono portare gli offerenti alla perfezione, come osserva
l’autore della Lettera agli Eb quando dice: « La Legge infatti, poiché possiede
un’ombra dei beni futuri e non la realtà stessa delle cose, non ha mai il
potere di condurre alla perfezione per mezzo di sacrifici-sempre uguali, che si
continuano a offrire di anno in anno-coloro che si accostano a Dio » (Eb
10, 1)[16]. Quindi,
quei sacrifici non possono portare all’espiazione di colpe. Ma per quale
motivo? Perché sono offerti secondo la legge che nonn porta alla perfezione.
A questo punto di vista, Teodorico da Castel S. Pietro, ribadisce
che esiste un duplice motivo per il quale i sacrifici ripetutti ogni anno siano
incapaci di espiare i peccati per sempre. Così dice :
« Messo in rilievo
il fatto che il sacrificio di Kipur viene ripetuto ogni anno, se ne dà il motivo,
sia razionale sia mutuato dall’autorità della Scrittura (4-10). Il primo è fondato
sulla natura delle vittime immolate: animali irragionevoli non possono espiare
i peccati degli uomini. La scrittura, poi, lo dichiara più in linea di fatto
teoricamente, preannunciando un sacrificio nuovo in sostituzione di quelli
antichi, che non piacquero a Dio »[17].
Brevemente, nel motivo razionale, riteniamo che il sangue
di animali non può espiare i peccati di uominni raggionevoli mentre, nel secondo
cioè il motivo scritturistico, tutti questi sacrifici non piaciono a Dio.
Pertanto, Dio non li gradisce e gli uomini rimangono nella schiavitù del
peccato.
Anche i profetti Isaia, Geremia, Amos e Michea avevano
già dinunciato l’inefficacità dei sacrifici di animali. In Isaia, per esempio
leggiamo: «Perché mi offrite i vostri sacrifici senza numero-dice il Signore.
Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di pingui vitelli. Il sangue
di tori e di agnelli e di capri io non lo gradisco » (Is 1, 11)[18].
Tutte queste affermazioni suscitano alcune preoccupazioni.
Si può cercare di sapere perché gli offerenti continuavano ad offrire tali
sacrifici che non concedevano il perdonno dei peccati. A queste preoccupazioni,
Teodorico da Castel S. Pietro, risponde: « Lungi dal possedere la virtù di
espiare i peccati dell’anno decorso, quel sacrificio serviva soltanto a
disporre gli animi a penitenza per implorare il perdonno divino; il quale, caso
mai, veniva accordato in virtù dell’unico
sacrificio futuro di Cristo Perciò »[19].
Una tale posizione conferma sufficentemente che i
sacrifici dell’antica alleanza sono una lunga preparazione all’unico sacrificio
di Cristo. In altri termini, Gesù compie
i sacrifici antichi mediante la sua morte sulla croce. “Offrendo il suo corpo
sulla croce, diede compimento ai sacrifici antichi, e donandosi per la nostra
redezione divenne altare, vittima e sacerdote”[20]. Anche
nel campo dei sacrifici, questa affermazione di Gesù risulta valida quando dice
Lui stesso: “Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i profeti;
non sono venuto ad abolire, ma a dare
pieno compimento”(Mt 5, 17). Perciò, ribadiamo che al momento che Gesù compie i
sacrifici antichi con la sua donazione, il suo sacrificio diventa l’unico sacrificio
efficace.
Il sacrificio di Cristo non soltanto supera ma
sostituisce i sacrifici antichi. La sua funzione efficace consiste nel fatto che
Cristo si è offerto se stesso per elliminare i peccati una volta per sempre. Lui
stesso è la vittima immolata per la salvezza del popolo di Dio. Dio lo ha
mandato per riscatare l’umanità dalla schiavitù del peccato. Questa è la
missione di Cristo. La sua obbedienza ci ha portato alla salvezza. Già il
profeta Samuele riconosceva che l’obbedienza vale più del sacrificio: « Il
Signore gradisce forse gli olocausti e i sacrifici quanto l’obbedienza alla
voce del Signore? Ecco, obbedire è meglio del sacrificio, essere docili è
meglio del grasso degli arrieti » (Sam 15, 22). Quindi il sacrificio di
Cristo è caratterizzato dall’obbedienza del Figlio al Padre. E per questo
motivo che Dio lo gradisce perché Cristo ha fatto la volontà salvifica e
universale di Dio. Cristo compie pienamente le parole messianiche del Salmo 40
(39), 7-9 come dice Teodorico da Castel S. Pietro:
« Attendendoci al “sensus plenior”, dobbiamo intendere
che Cristo realizzò, in maniera più perfetta, l’obbedienza che il salmista era
invitato a rendere, e voleva, di fatto, rendere a Dio, come di gran lunga più
gradita di tutti i sacrifici della legge. Questo atto sublime di obbedienza doveva
consistere, per Cristo, sopratutto nel sacrificio della propria vita, incluso
già nel sì dell’Incarnazione »[21].
L’autore di Ebrei ci mostra che l’atto del sacrificio compiuto
da Gesù deve essere strettatemente collegato al mistero dell’Incarnazione.
Perciò fa uso del verbo “entrare”. Così lo descrive : “Per questo, entrando nel
mondo, dice”(Eb 10, 5). L’autaure sacro usa dunque questa formula per
introdurre le parole del salmista nella missione redentrice di Critso. Poi, la
visione messianica in questo brano, comincia con l’incarnazione e si compie con
la morte di Cristo sulla croce. Certo che questa visione significa “Mostrare
che con la sua morte sulla croce, il Cristo ha portato a compimento la
liberazione dai peccati, a cui tendevano tutti i sacrifici dell’antica alleanza.
Con la sua morte per i peccati ha attuato la salvezza per mezzo del perdono dei
peccati, che quei sacrifici lasciavano sperare e che già indicavano
simbolicamente, ma senza poterla effettivamente concedere”[22].
Ciò che conferma effettivamente che il sacrificio di
Cristo rimane l’unico sacrificio efficace in quanto porta a compimento i
sacrifici dell’antica alleanza. La sua funzione efficace si vede non soltanto
nel fatto che non si può ripetere, perché lo ha fatto una volta per sempre, ma
anche negli effeti che produce in favore degli offerenti. Così avviene la
perfezione del popolo intero mediante il mistero kerigmatico di Cristo occore
la sua passione, morte e risurrezione. E Dio vede la sua volontà realizzata,
quella salvifica per il suo popolo. Perciò, Dio, nella sua volontà, gradisce il
sacrificio del suo Figlio per renderci santi come Lui è Santo.
Conclusione
Il percorso di questo primo capitolo ci ha portato a
considerare due cose essenziali occore l’insufficenza dei sacrifici antichi e
la funzione efficace dell’unico sacrificio di Cristo compiuto sulla croce, una
volta per sempre. Se i primi erano ripetutti ogni anno secondo la legge di
Mosè, il secondo non può essere ripetutto visto la sua funzione efficace. Esso
è inanzitutto il compimento di quei sacrifici. Questi ultimi venivano offerti a
motivo di portare ad un atteggiamento di pentimento per gli offerenti. Il
sacrifico di cristo, invece, ha cancellato i peccati una volta per sempre. Perciò
non poteva rimanere senza effetti, in cui parleremo in seguito in modo di
rendere più chiaro la sua funzione efficace.
CAPITOLO II : GLI EFFETTI DEL SACRIFICIO DI CRISTO
Introduzione
Lo scopo di questo capitolo è di presentare gli effetti che
scatturiscono dal sacrificio di Cristo. Questi , infatti, sono il perdono dei
nostri peccati e la nostra santificazione a cui possiamo aggiungere la
glorificazione del Figlio dal Padre. Vedremo in seguito come avviene tutto questo.
Abbiamo fin dall’inizio ossevato che il sacrificio di
Cristo rimane l’unico sacrificio efficace. Questa affermazione rimanda al fatto
che questo sacrificio produce un effetto permanente, cioè il perdono dei nostri
peccati che Cristo realizzò una volta per sempre. Il perdono dei peccati implica,
infatti, la santificazione nonché la perfezione. Dio vuole renderci santi come
Lui è Santo. Vuole farci partecipi della sua Santità. Questa è la sua volontà.
Quindi, Cristo, facendo la volontà del Padre, ci ha portato alla santificazione.
“Mediante quella volontà siamo stati
santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per
sempre” (Eb 10, 10). Abbiamo ormai accesso ai beni futuri che aspetava il
popolo. “I beni futuri sono i beni dela salvezza, cioè il perdono dei peccati e
la comunione di vita con Dio. Pertanto la legge non li possedeva, ma li lasciava
sperare, così come l’ombra indica la realtà che segue, senza essere la stessa
realtà. Per questa ragione si può dire che li prefigurava, cioè la indicava
nello scopo dei riti”[23].
Secondo Nello Casalini, “Il liguaggio cultuale descrive
la morte del Cristo come un sacrificio per il peccato e il suo effetto. Ma
significa semplicemente che con quella morte noi siamo stati realmente
purificati dai peccati, perché con essa sono stati tolti. Pertanto nella morte
si compie il perdono che i sacrifici stabiliti dalla legge indicavano in modo
figurato, cioè attraverso i simboli e i riti del culto”[24].
Dunque, con questo sacrificio, siamo realmente purificati una volta per sempre.
Anzi, perdonati i nostri peccati, noi siamo ormai partecipi della santità di
Dio mediante il sacrificio di Cristo.
Cristo, infatti, dopo aver compiuto la sua missione,
nella sua passione e nella sua morte sulla croce, ottene la glorifificazione
dal Padre, nella risurrezione dai morti. In questo modo, Dio lo ha fatto sedere
alla sua destra. A questo punto di vista, Teodorico da Castel S. Pietro scrive:
“Mentre il sacerdozio levitico ripete incessamente gli stessi sacrifici, Critso
ne ha offerto uno solo in espiazione dei nostri peccati, che gli ha anche
meritato la gloria di sedere alla destra di Dio (11-14). Del pieno valore del
sacrificio di Cristo ci assicura Iddio stesso dicendo, in Geremia, che egli non
si ricorderà più dei nostri peccati (15-18)”[25]. Quindi,
la glorificazione del Figlio è pure un
effetto del sacrificio di Cristo.
Conclusione
Alla fine di questo capitolo, diciamo che nel sacrificio
di Cristo, compiuto una volta per sempre, otteniamo parrecchi effetti occore il perdono dei nostri peccati,
la nostra santificazione e la glorificazione del Figlio. Il perdono dei peccati
indica che siamo stati inseriti nella Santità di Dio; nella glorificazione del
Figlio troviamo che Dio lo ha rissuscitato dai morti e lo ha fatto sedere alla
sua destra da cui ritornerà per giudicarci alla fine dei tempi.
CONCLUSIONE
Al termine di questa esercitazione scritta sul tema del
sacrificio di Cristo in Eb 10, 1-10, dobbiamo riconoscere che il sacrificio di
Cristo rimane l’unico sacrifio efficace. Con esso, cessano i sacrifici antichi
per il fatto che erano insufficenti per concedere il perdono dei peccatti agli
offerenti. Li lasciavano un attegiamento di sperare al perdono dei loro
peccati. I loro sacrifici non accedevano alla presenza divina a causa della
natura delle vittime. Perciò Dio non li gradiva più perché erano insufficenti e
simplice simbolismo. I sacrifici, gli olocauti, le offerte, i sacrifici per il
peccato non piacevano più a Dio.
Cristo, invece, si
è consegnato per fare la volontà salvifica di Dio. Così le parole del salmo 40
(39), 7-9, si realizzano nella missione redentrice di Cristo quando egli compie
esattamente la volontà del Padre mediante la sua morte sulla croce che è il
sacrificio che compie i sacrifici antichi e li sostituisce. Con questo
sacrificio, noi otteniamo il perdono dei peccati con cui siamo realmente
purificati per essere partecipi della santità di Dio. Cristo, invece, siede
alla destra del Padre da cui verrà per giudicarci negli ultimi tempi.
L’esortazione che fa l’autore sacro risulta valida per
noi in quanto, il sacrificio di Cristo, ripresentato nell’Eucaristia, ci
concede il perdono dei peccati in modo ad inserirci nella Santità di Dio. Nella
visione messianica, abbiamo accenato che l’ingresso di Cristo, cioè la sua
incarnazione è direttamente collegata alla sua missione redentrice. Criso,
infatti, è entrato nel mondo per fare la volontà del Padre, quella di salvare
tutti gli uomini attraverso la sua passione, la sua morte sulla croce seguita
dalla sua ascensione per sedere alla destra di Dio. Nella visione escatologica
possiamo dire che offriamo questo sacrificio nell’Eucaristia aspetando che
Cristo che siede alla destra del Padre venga per giudicare i vivi e i morti
alla fine dei tempi.
Con queste affermazioni, supponiamo che la nostra
indigine ha raggiunto il suo scopo benché non sia esaustiva. La ricerca
sull’argomento è aperta a chi vodrà arricchirlo. Spetta a noi parlare, in
seguito, del sacerdozio di Cristo perché il sacrificio di cristo è direttamente
collegato al suo sacerdozio.
BIBLIOGRAFIA
Fonte
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Strumento
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Commentario
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[4] La BIBBIA TOB, Nuova traduzione CEI, Editrice Elledici, 2010.
[5] C. BOTTINI, Il Discorso perfetto, in Lettera agli Ebrei, Lettura
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Nona Settimana Abruzzese, Tocco Casauria, (4-9
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CORONA, 71.
[9] G. BARBIERO, Il regno di Yhwh
e del suo Messia, Salmi scelti dal primo
libro del salterio, Città nuova,
2008, 18.
[13] A. CHARBEL, Il Sacrificio pacifico nei suoi
riti e nel suo significato religioso e figurativo, Ed. The
commercial, Jerusalem,
1967, 8.
[14] A. CHARBEL, Il Sacrificio pacifico nei suoi
riti e nel suo significato religioso e figurativo, p. 14.
[16] La BIBBIA TOB, Nuova traduzione CEI, Editrice Elledici, 2010.
[17] T. DA CASTEL S. PIETRO, La Sacra
Bibbia, L’Epistola agli Ebrei, Marietti, Roma, 1952, 162.
[18] La BIBBIA TOB, Nuova traduzione CEI, Editrice Elledici, 2010.
[19] T. DA CASTEL S. PIETRO, La Sacra
Bibbia, L’Epistola agli Ebrei, 163.
[20] Messale Romano
(Prefazio pasquale V ), Riformato a norma del decreto del Concilio Ecumenico
Vaticano II e promulgato da Papa Paolo VI, Ed.
Pastorali Italiani. S.R.L., Roma, 1973, 325.
[21] T. DA CASTEL S. PIETRO, La Sacra
Bibbia, L’Epistola agli Ebrei, 164.