jeudi 15 décembre 2016

Il Pane della vita nella prospettiva di Giovanni 6, 22-66

Introduzione

Il Vangelo di Giovanni tratta poche volte del tema del pane della vita nel senso in cui
ne parla nel brano che stiamo per analizzare (Gv 6, 22-66). Gesù pronuncia un discorso molto lungo, nella sinagoga di Cafarnao davanti ai suoi discepoli e ai Giudei riguardo a questa nuova comprensione del pane. Infatti, i suoi ascoltatori sono confusi di udire un tale modo di manifestarsi da parte di Gesù. La loro incredulità li conduce a non capire quello che Gesù manifesta nella loro vita.  Anzi, sono una gente affamata. Hanno bisogno del pane materiale, pure di quello spirituale. Allora Gesù spiega come avviene che Lui sia il pane, il vero pane che li aiuta ad essere sfamati. Però, questo modo di dire crea un problema. La reazione alle parole del Signore suscita une incredulità. Tuttavia, il Signore parla con insistenza per convincergli che è Lui il vero pane, il pane della vita disceso dal cielo che supera quella manna del deserto.
Perciò la nostra indagine consisterà a capire che cosa possiamo intendere per il pane della vita in modo in cui Gesù ne parla nel discorso così detto, discorso sul pane della vita secondo il Vangelo di Giovanni. Parleremo dei personaggi che intervengono nel discorso, dell’ambiente, della circostanza, degli elementi materiali del brano (come il pane, la manna, la carne, il sangue), del senso spirituale e teologico del brano e in fine della sua attualizzazione per comprendere che cosa la chiesa ne dice per la nostra vita cristiana.
Questo scritto sarà arricchito da autori che hanno scritto sul Vangelo secondo Giovanni, oppure da chi ha dibattuto sul nostro tema. Così aggiungeremo lo scopo della nostra investigazione, anche se non sarà esaustiva.



I.                   GIOVANNI 6, 22-66
22 Il giorno dopo, la folla, rimasta dall'altra parte del mare, notò che c'era una barca sola e che Gesù non era salito con i suoi discepoli sulla barca, ma soltanto i suoi discepoli erano partiti. 23 Altre barche erano giunte nel frattempo da Tiberìade, presso il luogo, dove avevano mangiato il pane dopo che il Signore aveva reso grazie. 24 Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. 25 Trovatolo di là dal mare, gli dissero: "Rabbì, quando sei venuto qua?". 26 Gesù rispose: "In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. 27 Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo". 28 Gli dissero allora: "Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?". 29 Gesù rispose: "Questa è l'opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato". 30 Allora gli dissero: "Quale segno dunque tu fai perché vediamo e possiamo crederti? Quale opera compi? 31 I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo. 32 Rispose loro Gesù: "In verità, in verità vi dico: non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; 33 il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo". 34 Allora gli dissero: "Signore, dacci sempre questo pane". 35 Gesù rispose: "Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete. 36 Vi ho detto però che voi mi avete visto e non credete. 37 Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me; colui che viene a me, non lo respingerò, 38 perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. 39 E questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell'ultimo giorno. 40 Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell'ultimo giorno". 41 Intanto i Giudei mormoravano di lui perché aveva detto: "Io sono il pane disceso dal cielo". 42 E dicevano: "Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe ? Di lui conosciamo il padre e la madre. Come può dunque dire: Sono disceso dal cielo?". 43 Gesù rispose: "Non mormorate tra di voi. 44 Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. 45 Sta scritto nei profeti: E tutti saranno ammaestrati da Dio. Chiunque ha udito il Padre e ha imparato da lui, viene a me. 46 Non che alcuno abbia visto il Padre, ma solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. 47 In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna. 48 Io sono il pane della vita. 49 I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; 50 questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. 51 Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo". 52 Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: "Come può costui darci la sua carne da mangiare?". 53 Gesù disse: "In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. 54 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. 55 Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. 57 Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. 58 Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno". 59 Queste cose disse Gesù, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao. 60 Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: "Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?" 61 Gesù, conoscendo dentro di sé che i suoi discepoli proprio di questo mormoravano, disse loro: "Questo vi scandalizza? 62 E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là dov'era prima? 63 È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita. 64 Ma vi sono alcuni tra voi che non credono". Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. 65 E continuò: "Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio".
66    Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui.

II.               LA STRUTTURA, IL CONTESTO, I PERSONAGGI E L’AMBIENTE  
Per quanto riguarda la struttura di questo brano, Michele Mazzeo scrive: “Il discorso di Gesù, pane della vita, che ci riguarda direttamente (6, 22-59), si divide in due sezioni: nella prima parte (6, 22-41), parole misteriose di Gesù che contrappongono due tipi di pane; nella seconda (6, 41-59), i presenti non ammettono che un uomo possa avere origine divina e dare la vita definitiva. Gesù, perciò, si rivela chiaramente come pane vivo[1]. Il testo è nel contesto della moltiplicazione dei pani (Gv 6, 1-15). Così lo dice Michele Mazzeo:
La datazione del testo, il giorno dopo, mostra l’intima connessione con l’episodio precedente (moltiplicazione dei pani e cammino sull’acqua, 6, 1-21). I discepoli hanno lasciato Gesù e se ne sono andati; anche la folla lo ha abbandonato. La ripetizione dell’aggettivo “solo” mostra la situazione violenta e innaturale che era creata, ma tutti di nuovo cercano Gesù. La gente segue lo stesso itinerario dei discepoli di Gesù per avvicinarsi a lui, va dove avevano mangiato il pane” (6, 23)[2].
I personaggi che intervengono in questo brano sono sconosciuti per nomi. Comunque, Gesù non parla da solo. Ci sono delle persone che intervengono, che gli pongono delle domande e Gesù che le risponde. Perciò, il brano può essere chiamato un “discorso-dialogo” come osserva Michele Mazzeo: “È il discorso-dialogo più lungo di tutti quelli riportati da Giovanni, il cui contenuto teologico è, densissimo. Il capitolo rappresenta il culmine dell’attività di Gesù in Galilea ed è tutto concentrato sul miracolo della moltiplicazione dei pani e l’autorivelazione di Gesù come pane della vita[3].
Tra gli interlocutori, si parla, inizialmente, della folla dei discepoli. Quest’ultima è innanzitutto, la prima a creare un clima di dialogo chiedendo al Signore: "Rabbì, quando sei venuto qua?" Gv 6, 25 ). Di là, Gesù comincia il suo insegnamento oppure il così detto discorso eucaristico: "In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo" (Gv 6, 26-27).
Gli altri personaggi sono i Giudei che negano l’identità di Gesù rivelata a loro: “Intanto i Giudei mormoravano di lui perché aveva detto: "Io sono il pane disceso dal cielo". E dicevano: "Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre. Come può dunque dire: Sono disceso dal cielo?" (Gv 6, 41-42). E ancora: “Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: "Come può costui darci la sua carne da mangiare?"(Gv 6, 52). I Giudei menzionati nel discorso sono, in realtà, dei Galilei come osserva Michele Mazzeo dicendo:
Ma sono chiamati Giudei, espressione che nel quarto Vangelo è peculiare, perché tutti gli avversari di Gesù sono regolarmente chiamati Giudei o Farisei. L’espressione Giudei è applicata da Giovanni non a tutto il popolo, ma solo a una parte di essi, vale a dire ai capi politici e religiosi, sommi sacerdoti e farisei che sono avversari di Gesù. Da questo uso caratteristico dell’espressione giudei non risulta tuttavia che Giovanni faccia distinzione tra popolo e coloro che sono propriamente responsabili, cioè capi [4].
Il brano è molto chiaro sull’ambiente in cui Gesù fa questo discorso e cioè nella sinagoga di Cafarnao sulla riva del lago di Tiberiade, nella Galilea.  


III.            ELEMENTI MATERIALI NEL LORO NUOVO SENSO
Si tratta, in questo brano, di diversi elementi materiali tra cui abbiamo già menzionato il pane, la manna, la carne, il sangue che cerchiamo di capire al punto di vista della nuova rivelazione di Gesù come vero pane della vita. Nella prima parte, come l’abbiamo già detto, Gesù e i suoi interlocutori discutono sul concetto del pane, anzi, su due tipi di pane, quello del deserto, la manna e quello vero che viene dal Padre, Gesù Cristo. Nella seconda parte, invece, Gesù si rivela ai suoi ascoltatori come vero pane disceso dal cielo, parlando della sua carne e del suo sangue.
Nella Bibbia, il pane ha diversi significati. È innanzitutto, il castigo dell’uomo da parte di Dio: “Mangerai il pane con il sudore della fronte”(Gn3, 19) e la pena della donna. Pure, il pane era chiamato, la legge. “Gesù, come pane di vita, se da un lato si contrappone alla manna, dall’altro si contrappone anche alla legge che come fonte di vita, era chiamata, pane: la sua osservanza, secondo la dottrina rabbinica, assicurava la vita per il mondo futuro[5]. Dopo, il pane viene significare, la manna ritenuta dalla tradizione come pane disceso dal cielo (Es 16, 4.15) e Gesù si rivela come il pane, il vero pane disceso dal cielo (Gv6, 51). Michele Mazzeo osserva che:
“La manna non poteva dare la vita vera, quella eterna, e ciò è talmente vero che i padri l’hanno mangiata nel deserto e sono morti (6, 49). Anche se data in modo prodigioso essa resta pur sempre un pane terreno, incapace di preservare dalla morte. Gesù solo è il vero pane del cielo, che gustato dà la vita eterna. E per spiegare ciò, Gesù dice al versetto 51: Io sono il pane vivo, disceso dal cielo, se uno mangia di questo pane, vivrà in eterno, il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”[6].
Si vede chiaramente che si tratta qui del sacramento dell’Eucaristia dove Gesù si dà in nutrimento per la vita eterna. L’Eucaristia è, infatti, “sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità, convito pasquale, nel quale si riceve Cristo, l’anima viene ricolmata di grazia e viene dato il pegno della gloria futura[7]. Parlando della manna, Bartolomé Ubach ci dice che:
 La manna era un elemento che apparve la prima volta nel deserto di Sin il 15 del secondo mese dopo la partenza dei figli di Israele dall’Egitto, e che circa quarant’anni consecutivi costituì il principale alimento del popolo nella sua peregrinazione attraverso il deserto. Il testo sacro ce la descrive come il pane inviato da Yahweh per alimentare il popolo (Es 16, 15). Era simile al seme del coriandolo e bianca e aveva il sapore di una focaccia con miele (Es 16,31). Aveva il colore dello bdellio. Il popolo andava attorno a raccoglierla; poi la riduceva in farina con la macina o la pestava nel mortaio, la faceva cuocere in pentole o ne faceva delle focacce; aveva il sapore di pasta all’olio (Num 11, 7-8) cadeva ogni notte, eccetto al sabato, intorno all’accampamento. Sul far del giorno, ogni individuo ne raccoglieva quanta era necessaria per l’alimento della giornata; al venerdì la razione era doppia in vista della festa del giorno seguente; quando poi il sole incominciava a scaldare, il restante si fondeva. Se qualcuno pretendeva conservarne una certa quantità per il giorno dopo, questa si riempiva di vermi e imputridiva (Es 16, 9-36)[8].
La questione del significato della manna ha suscitato diverse controversie tra i cercatori. Infatti, gli Arabi della penisola del Sinai danno ancora oggi il nome di mann el-sama (manna del cielo) al prodotto resinoso che durante i forti calori di giugno e di luglio la pianta Tamarix mannifera, chiamata in arabo tarfa, suole distillare. Dalla metà del secolo XIX sono stati diversi esegesi e i botanici che hanno discusso sull’origine e sulla nature di simile resina. Alcuni la consideravano come un’essudazione di detta pianta, simile alla gomma dei nostri peri, ciliegi; altri con Ehrenberg la attribuivano alla puntura di un insetto. La controversia si può ritenere oggi finita dopo le osservazioni, universalmente accolte, compiute dall’entomologo Bodenheimer, professore dell’Università ebraica di Gerusalemme, nel corso di una spedizione organista nell’estate del 1927 da un gruppo di professori della medesima Università, con la finalità di studiare attentamente il fenomeno. Ecco qui in sintesi il risultato di alcune delle sue investigazioni. È stato solidamente stabilito che la manna del Sinai non è dovuta da una secrezione naturale della Tamarix mannifera, ma all’azione di un insetto (Trabutina mannipara), come aveva sostenuto Enrenberg. Bodenheimer, che l’ha studiato in una maniera scientifica, dedusse che il fenomeno della manna è il risultato di una secrezione, elaborata principalmente dalle cocciniglie femminile. Stabilitesi, frequentemente in gran numero, sulla tamerice, esse succhiano la sua linfa, la quale viene poi espulsa dall’orifizio, dove termina il condotto digestivo dell’insetto. Appiccicandosi alla pianta in forma di un sciroppo bianco-gallognolo va crescendo a poco a poco fino a raggiungere le dimensioni di un pisello. Nei rami su cui si, trovano riunite un certo numero di cocciniglie, il liquido si accumula e non tarda a cadere a terra in forma di gocce. Durante la frescura della notte, la secrezione che non si è ancora cristallizzata mantiene una consistenza. Al mattino, una quantità di manna staccatasi dai rami si trova sparsa sotto le tamerici, fino a che verso le nove arrivano le formiche e puliscono completamente il luogo, se i Beduini non sono stati prima diligenti nel raccoglierla. Leggermente aromatica, la manna del Sinai ha un sapore di dolce come il miele. I Beduini l’apprezzano come un alimento succulento. Si servono di essa come di zucchero per addolcire le bibite o di alimento che accompagna il pane, od anche per la confezione di torte e di una varia quantità di paste.
Raffrontando ora quello che abbiamo appena finito di esporre sulla manna del Sinai, con quanti ci riferisce di essa il testo sacro in Es 16 e in  Num 11, 7-8,  non vi è dubbio che esiste una grande affinità fra l’una e l’altra. Entrambe appaiono al mattino; entrambe, in stato di solidificazione, presentano una stessa forma e un medesimo colore; entrambe hanno il sapore del miele; entrambe possono essere macinate e adoperate per la confezione di paste. È possibile da dedurre un’idea di natura tra l’una e l’altra manna? G. Flavio così la pensa e molti esegesi posteriori l’hanno sostenuto. Questa è anche la nostra ferma convinzione. Da questa identità di natura, però, non segue che possa essere posto in dubbio il carattere soprannaturale della manna biblica.
Ammettendo, se si vuole, l’identità della manna del Sinai con quella della Bibbia, non vi è dubbio che il fenomeno, come ce lo descrive l’autore sacro, presenti tutti i caratteri di un fatto sopranaturale: a) la manna del Sinai appare soltanto nella penisola nei due mesi più caldi dell’anno; quella della Bibbia cadeva dal cielo tutti i giorni dell’anno, ad eccezione del sabato; b) la manna del Sinai non si trova che sulle tamerici; ma non in tutte né in ogni regione della penisola; Israele si alimentò con la manna in tutti i luoghi del Sinai, come a Cades, nei deserti di Sin e di Paran e sugli altipiani di Moab, dove probabilmente non vi era cessato di apparire colà da secoli al suo tempo preciso; la manna della Bibbia incominciò a cadere poco tempo dopo che Israele uscì dall’Egitto, quando Yahweh volle, e cessò dopo quarant’anni, parimenti per volere di Yahweh. Per quanto una persona si sforzi nel voler sottilizzare, è impossibile negare alla manna della Bibbia il suo carattere sopranaturale[9].
Un altro termine citato nel nostro brano è la carne. Secondo José Alonso Dìaz, “la carne non è soltanto la materia organica ma indica generalmente ogni uomo. Il verbo si fece carne equivale a il verbo si fece uomo (Gv 1, 14). Quindi, nel discorso eucaristico carne designa semplicemente, secondo alcuni testi, Gesù Cristo perché Gesù Cristo è il pane della vita e il pane della vita è la carne di Gesù Cristo (Gv 6, 51)”[10]. Non si può parlare di carne fuori del Sangue perché, naturalmente, la vita della carne è nel sangue. Parlando del sangue di Cristo, Antonio Charbel scrive:
Il sangue di Cristo, mentre conferma con il sacrificio il nuovo patto, ci garantisce, come vero segno di morte, la trasmissione dell’eredità di Dio, in virtù del testamento, di cui il mediatore è Cristo Gesù. Inoltre, il sangue sacrificale è la bevanda salutare con cui il fedele entra in comunione di vita con Dio (Gv6, 55-56). In una parola, il sangue di Cristo si identifica con la stessa persona di Cristo nell’esercizio della funzione salvifica[11].


IV.             SENSO SPIRITUALE, TEOLOGICO E ATTUALIZZAZIONE
Il brano che analizziamo ha attirato l’attenzione di tanti studiosi ed è sempre visto come discorso sul pane, cioè sull’Eucaristia ed è qualificato discorso eucaristico. Già nel secolo II, Ignazio di Antiochia e Giustino adoperano appunto il termine sarx (carne) in un contesto eucaristico, come Gv 6. Agostino, invece, interpreta l’invito di Gesù a mangiare e bere il pane della vita con poche parole entrate nella tradizione, coerenti con tutta la sua linea interpretativa del mangiare-credere. Per lui, infatti, chi crede, mangia. Allora Michele Mazzeo ci dice che Agostino fa osservazioni che manifestano la difficoltà a vivere l’incontro con il pane di vita e commentando Gv 6, 50 dice che la promessa va intesa per ciò che si riferisce alla virtù spirituale del sacramento, non alla sua forma esteriore e visibile. Chi mangia nell’intimo, non nell’apparenza esterna, chi mangia il pane con il cuore, non si limita a romperlo con i denti[12]. Sullo stesso punto di vista, Michele Mazzeo, aggiunge:
 “Il contesto eucaristico in cui Giovanni si muove appare sotto un duplice aspetto: come nuova manna è alimento che dà forza e vita, veicolo dello Spirito; come nuova legge, non un codice esterno, ma per l’identificazione con Gesù che porta a una dedizione simile alla sua. In altre parole, da parte di Gesù, l’eucaristia, memoriale della sua vita e morte, è dono che comunica il suo amore e la sua vita; da parte del discepolo, è l’accettazione del dono; da questo nasce un’esperienza di vita-amore che trasforma in norma della condotta. Gesù, alimento della sua comunità, produce in essa l’amore: il dono ricevuto porta al dono di sé: è l’amore che risponde al suo amore[13].
Inoltre, chi riceve l’Eucaristia entra in unione con Cristo. Anzi,“Ricevere l’Eucaristia nella comunione reca come frutto principale l’unione intima con Cristo Gesù. Il Signore dice: chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, dimora in me e io in lui (Gv 6, 56). La vita in Cristo ha il suo fondamento nel banchetto eucaristico: come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me[14].

CONCLUSIONE

La nostra indagine sul pane della vita ci ha portato a capire che Gesù Cristo si è rivelato come il vero pane della vita disceso dal cielo. I suoi ascoltatori si sono scandalizzati del modo di parlare del Signore. I primi assomigliano il pane in cui parla Gesù con la manna del deserto. Gesù, per rivelare la sua identità, dice a loro che è lui, il pane disceso dal cielo, cioè dal Padre e supera quella manna terrena che non procurava la vita eterna.
Gli ultimi interlocutori sono increduli e scandalizzati dalle parole di Gesù che dice che chi mangia la sua carne e beve il suo sangue vivrà per l’eternità. Per loro, si tratta di una manducazione della carne umana. Gesù, invece, consegna se stesso per la vita di chi crede in lui.
Perciò, i sui seguaci hanno visto in questo discorso, il contesto eucaristico in cui Gesù dà la sua carne e il suo sangue in nutrimento ai suoi discepoli affinché abbiano la vita eterna. Perciò, chi lo accoglie vivrà in eterno. E ogni volta che lo riceviamo nel banchetto eucaristico, non avremo più fame né sette perché, per noi, Gesù rimarrà, per sempre, il pane della vita.

















BIBLIOGRAFIA

Libri

1. ALONSO DÌAZ J., Carne, in Enciclopedia della Bibbia, Vol. II,Garriga,
                               Barcellona, 1970, colonne 151-152.
2. CHARBEL A., Sangue di Cristo, in Enciclopedia della Bibbia, Vol. VI,Garriga,
                            Barcellona, 1971, colonne 185-186.
3. MAZZEO M. , Vangelo e Lettere di Giovanni, Introduzione, esegesi e teologia,
                           Paoline, Milano, 2007.
4. UBACH B., Manna, in Enciclopedia della Bibbia, Vol. IV,Garriga, Barcellona, 1970,  
                       colonne 893-895.


Altri Documenti

5. La Costituzione sulla sacra liturgia, Sacrosanctum Concilium, n°47, in Enchiridion Vaticanum, Documenti il Concilio Vaticano II, testo ufficiale e traduzione italiana, ed. IX, Edizione Dehoniane Bologna, 1971.
6. Catechismo della Chiesa Cattolica, n° 1391, Libreria editrice vaticana, città del Vaticano, 1992.










[1] M. MAZZEO, Vangelo e Lettere di Giovanni, Introduzione, esegesi e teologia,
                           Paoline, Milano, 2007, p. 190-191.
[2] M. MAZZEO, Vangelo e Lettere di Giovanni, Introduzione, esegesi e teologia, p. 191.
[3] M. MAZZEO, Vangelo e Lettere di Giovanni, Introduzione, esegesi e teologia, p. 189.
[4] M. MAZZEO, Vangelo e Lettere di Giovanni, Introduzione, esegesi e teologia, p. 198.
[5] M. MAZZEO, Vangelo e Lettere di Giovanni, Introduzione, esegesi e teologia, p. 202.
[6] Cfr M. MAZZEO, Vangelo e Lettere di Giovanni, Introduzione, esegesi e teologia, p. 201.
[7] Cfr. La Costituzione sulla sacra liturgia, Sacrosanctum Concilium, n°47, in Enchiridion Vaticanum, Documenti il Concilio Vaticano II, testo ufficiale e traduzione italiana, ed. IX, Edizione Dehoniane Bologna, 1971.
[8] Cfr.B. UBACH, Manna, in Enciclopedia della Bibbia, Vol. IV,Garriga, Barcellona, 1970, colonne 893.
[9] Cfr.B. UBACH, Manna, in Enciclopedia della Bibbia, coloni 893-895.
[10] Cfr. J.ALONSO DÌAZ, Carne, in Enciclopedia della Bibbia, Vol. II,Garriga, Barcellona, 1969, colonne  
                                          151-152.
[11] A. CHARBEL, Sangue di Cristo, in Enciclopedia della Bibbia, Vol. VI,Garriga, Barcellona, 1971,   
                           colonne 185-186.
[12] Cfr M. MAZZEO, Vangelo e Lettere di Giovanni, Introduzione, esegesi e teologia, p. 207.
[13] M. MAZZEO, Vangelo e Lettere di Giovanni, Introduzione, esegesi e teologia, p. 209.
[14] Catechismo della Chiesa Cattolica, n° 1391, Libreria editrice vaticana, città del Vaticano, 1992, p. 362.